Roma – sabato 25 Giugno 2022 – La guerra in Ucraina ha già un forte impatto sui costi sostenuti dalle aziende agricole italiane.
Di recente il Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria aveva stilato un rapporto sulla situazione delle aziende agricole italiane affermando che il 30% di queste a breve avrebbero potuto avere un reddito netto negativo, a causa di un aumento dei costi di produzione e la situazione di guerra fra Russia e Ucraina che assieme producono quasi il 30% del grano commerciato in tutto il globo, e il 12% delle relative calorie.
Ciò che era prevedibile e che, potrebbe accadere che, man mano che avanza la stagione del raccolto la situazione di stallo non cambi, di conseguenza tutti questi fattori negativi indurranno ad una crescita dei prezzi alimentari, non solo, ci sarà anche carenza di alimenti che oggi fanno parte della dieta primaria delle famiglie. L’allinearsi di questi fattori, potrebbe scatenare un’ondata di instabilità economica e politica. Il flusso di grano dall’inizio della guerra è stato interrotto da entrambi i Paesi. Non si è tenuto conto che Russia, Ucraina e Bielorussia, (alleata della Russia e pertanto sottoposta anch’essa a sanzioni) sono produttori ed esportatori a livello globale, di grandi quantità di fertilizzanti, necessari alla produzione agricola. Più il conflitto avrà durata, “maggiore sarà la crisi. Circa 26 i Paesi al mondo importano oltre la metà del grano che consumano da Russia e Ucraina” afferma Arif Husain economista capo del Programma Alimentare Mondiale (PAM) delle Nazioni Unite. La guerra in Ucraina prosegue, mancano raccolti di cereali e granturco, i raccolti di grano invernale sono ridotti e per la mancata concimazione e per la siccità a livello globale. Il raccolto secondo dati attuali è ridotto.L’Ucraina, definita come il “granaio d’Europa”, è diventata una potenza agricola di fondamentale importanza per gran parte dei Paesi in via di sviluppo. Il Paese è oggi tra i cinque principali esportatori di vari cereali e semi oleosi importanti, raggiungendo il 10% delle esportazioni mondiali di grano e quasi il 50% delle esportazioni di olio di semi di girasole.
Semi migliori, nuove attrezzature e un’ottima agronomia — abbinati a massicci investimenti da parte di aziende quali Cargill, Bunge e Glencore in infrastrutture di lavorazione dei cereali e negli impianti di frantumazione dei semi oleosi nei porti del Mar Nero — hanno più che raddoppiato le esportazioni dell’Ucraina dal 2012.
La Russia vuole vincere e per questo motivo ha deciso di bloccare i porti e distruggere le città portuali; danneggiando e bloccando le navi che servono ad esportare i prodotti agricoli. Le stesse esportazioni russe sono ostacolate dalle restrizioni bancarie e dai premi assicurativi per le navi che trasportano grano, che in tempo di guerra raggiungono cifre astronomiche. Di conseguenza i prezzi di grano, mais e soia sono aumentate hanno già superando nei mesi scorsi, i prezzi delle derrate alimentari del 2012 e del 2008, con il prezzo del grano che si era impennato del 60% già dall’inizio di febbraio. Ci sono altri fattori di rischio che differenziano questa crisi dalle precedenti, nel 2008 non c’era il COVID”, non c’era la guerra in Yemen o in Siria o in Etiopia o nel nord-est della Nigeria; attualmente i governi, non posseggono risorse economiche; il livello di indebitamento ha raggiunto quelli di molti Paesi poveri.
L’inflazione è a livelli record. Anche prima dell’invasione dell’Ucraina i prezzi dei generi alimentari avevano raggiunto il record degli ultimi 10 anni e i prezzi del carburante erano i più alti degli ultimi 7 anni. A questo si aggiunge il calo dell’occupazione e quindi perdite di reddito: la gente si trova schiacciata. Numerose nazioni come Yemen, Afghanistan, Siria, Etiopia e quasi una decina di altri Paesi nel Medio Oriente e in Africa dipendono dalle importazioni di grano dall’Ucraina. Sarà necessario razionalizzare le risorse, la povertà è in crescita.
Il PAM che ha in programma di sfamare 140 milioni di persone quest’anno dovrà aggiungere anche gli aiuti agli oltre tre milioni di profughi ucraini, e altri 44 milioni di persone in 28 Paesi che barcollano sull’orlo della carestia. Attualmente i costi del PAM si sono impennati dopo l’invasione, aumentando di 71 milioni di dollari (quasi 64 milioni di euro) al mese e creando un disavanzo di 10 milioni di dollari (quasi 9 milioni di euro) per l’anno prossimo. Ancora oggi, circa 13,5 milioni di tonnellate di grano e 16 milioni di tonnellate di mais del raccolto dell’anno scorso di Ucraina e Russia sono rimasti bloccati a causa della guerra e delle sanzioni.
“Non stiamo solo perdendo sei milioni di tonnellate di grano” del raccolto dell’anno scorso in Ucraina, afferma David Laborde, analista senior presso l’Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari (International Food Policy Research Institute, IFPRI) di Washington D.C., “ma potenzialmente 60 milioni di tonnellate. Se dovessimo perdere il prossimo raccolto si creerebbe un deficit sostanziale che nessuno potrebbe compensare”.
E questo non è nemmeno il più grosso dei potenziali problemi, continua Laborde. Ucraina, Russia e Bielorussia esportano in tutto il mondo anche grandi quantità di fertilizzanti a base di azoto e potassio.
“La minaccia più grande che il sistema agroalimentare sta per affrontare è il blocco del commercio dei fertilizzanti”, spiega Laborde. “La scarsità di grano avrà un impatto su pochi Paesi. La questione dei fertilizzanti invece può avere conseguenze su tutti gli agricoltori del mondo, e causare cali di produzione per tutti i generi alimentari, non solo il grano”. due grandi impianti di produzione di fertilizzanti lungo la Costa del Golfo degli Stati Uniti sono stati fortemente danneggiati dall’uragano Ida, limitandone ancora una volta la capacità produttiva, nella Carolina del Nord gli incendi hanno distrutto un altro importante impianto di produzione. I Paesi europei, sudamericani e africani sono fortemente dipendenti dai fertilizzanti importati dalla regione del Mar Nero. In Europa hanno ridotto la produzione di fertilizzanti a base di azoto dopo che il prezzo del gas naturale — uno degli ingredienti principali – l’anno scorso è salito alle stelle.
Le scorte mondiali di grano, mais e soia sono al loro livello minimo da oltre dieci anni, dice Laborde, mentre i divieti all’esportazione che hanno causato le massicce perturbazioni del mercato nel 2008 stanno iniziando a ripresentarsi.
Lo scorso autunno la Russia aveva vietato le esportazioni di fertilizzanti; la Cina, un altro principale esportatore, ha fatto lo stesso. Nel 2021 la Cina ha acquistato grandi quantità di cereali e soia, per ricostituire le proprie scorte nonché il proprio settore della carne suina, che aveva perso secondo le stime 100 milioni di maiali a causa di un’epidemia di peste suina africana. All’inizio di quest’anno la Cina ha annunciato quelle che sono le previsioni del peggior raccolto di grano della storia, una stima che è stata confermata dagli esperti. Anche la Cina dovrà importare più cereali quest’anno, solo per soddisfare la domanda interna.
Dati attuali in Italia e mondo
Secondo il Sole 24 ore : “Il meteo delle ultime settimane intanto conferma le prime indicazioni di un calo dei raccolti nazionali, mentre l’Usda ha già tagliato le stima sulla produzione globale 2022-23 e Bruxelles cerca di correre ai ripari aprendo alla richiesta di molti Stati membri, tra cui l’Italia, di prorogare la deroga sull’uso dei terreni a riposo per rafforzare le produzione interna.
Nel 2021 il fatturato dell’industria molitoria ha registrato una crescita dell’11,4% a 4,3 miliardi nonostante un calo dei volumi di sfarinati prodotti – essenzialmente farine di grano tenero per pane, pizza e dolci e semola di grano duro per la pasta – del 3,5% a 7,3 milioni di tonnellate. Nel dettaglio, il comparto del frumento tenero ha registrato un incremento complessivo dei volumi produttivi di farine pari all’1,1 % riconducibile a un aumento significativo della domanda di dolci, con una crescita del fatturato del 12,5% a 2,09 miliardi, mentre il comparto della macinazione del frumento duro ha visto nel 2021 una riduzione del 7,7 % della produzione di semole dovuta essenzialmente alla contrazione della domanda dei pastifici ma comunque una crescita del 10,4% del giro d’affari a 2,2 miliardi, diretta conseguenza dei rincari record del grano già nell’ultimo semestre 2021 (anche il prezzo della semola è cresciuto del 20% e quello dei sottoprodotti della macinazione del 17).
Questo prima della guerra in Ucraina, che ha di fatto paralizzato il 30% dell’export mondiale di grano contribuendo a infiammare ulteriormente i listini nonostante i tentativi di sbloccare i raccolti ucraini stoccati nei silos, mentre le semine di quest’anno saranno inferiori del 40% rispetto alla media.
«Il conflitto in Ucraina sta impedendo a 25 milioni di tonnellate di cereali di entrare sul mercato internazionale, con forti impatti economici, a partire dal rialzo dei prezzi, e sociali soprattutto nel continente africano – spiega Carlo Licciardi, amministratore delegato di Cofco International e appena riconfermato presidente dell’Anacer, l’associazione dei trader del settore –. Con il blocco dei mercati ucraino e russo (dai quali comunque l’Italia importa appena il 3% del fabbisogno di grano tenero e il 6% del mais) abbiamo aumentato gli acquisti da Francia, Germania, Ungheria e Romania. Ma così hanno dovuto fare anche i Paesi che prima non si rifornivano qui, alimentando una spirale rialzista di cui è impossibile prevedere la fine».
Inoltre, aggiunge, «anche se la situazione dei porti sul Mar Nero venisse in qualche modo sbloccata, non ci sarebbe nessuna nave disposta ad andarci per ritirare il grano, senza un adeguato piano di sicurezza internazionale. Gran parte del grano poi è nei silos all’interno del paese, e bisogna capire se le strutture nazionali sono ancora utilizzabili». Anche il piano Ue per i corridoi di solidarietà «è difficilmente attuabile perché mancano i treni e al confine c’è il collo di bottiglia dovuto allo scartamento diverso dei binari».