(AGENPARL) – Roma, 19 luglio 2020 – Già prima dello scoppio del Coronavirus l’ordine mondiale costruito negli anni seguenti la Seconda Guerra Mondiale si stava sgretolando e la pandemia non ha fatto altro che accelerare questa situazione aggravando le condizioni preesistenti.
Il coronavirus sta circondando il mondo, sta mietendo vittime e sta causando la più grave crisi economica dalla Grande Depressione del 1929.
Come sarà la geopolitica dopo la pandemia?
Alcuni analisti sostengono che stiamo assistendo agli ultimi istanti del primato americano, l’equivalente della Crisi di Suez del 1956 in Gran Bretagna. Altri sostengono che l’America, il principale volano dell’ordine internazionale del dopoguerra, sia temporaneamente inabile grazie ad un Presidente ubriaco al volante e solo domani con un guidatore più sobrio potrà ripristinare la sua leadership.
Ovviamente ci sono molte cose che non si sanno sul virus o come la pandemia rimodellerà lo scacchiere internazionale. L’unica cosa certa è che stiamo vivendo in uno di quei rari periodi di transizione, con il dominio americano alle spalle cioè nello “specchietto retrovisore” e un ordine mondiale più anarchico che sta incombendo nell’immediato futuro.
Un periodo incerto che ricorda per alcuni aspetti il periodo antecedente la Prima Guerra mondiale che ha innescato a sua volta i due conflitti militari prima che si raggiungesse un punto di equilibrio.
Con gli USA e i suoi alleati molto vacillanti, distratti e divisi dalla pandemia, l’ambizione sfrenata della Cina di diventare il principale attore in Asia e anche a livello mondiale, soprattutto con il suo desiderio di rivedere le regole e rimodellare le istituzioni internazionale per adattarle al suo potere, come ad esempio l’OMS e altre Agenzia dell’ONU i cui presidenti sono nell’orbita di Pechino. Anche se la pandemia ha anche amplificato le insicurezze della leadership cinese, accrescendo le loro preoccupazioni per la lentezza economica e il malcontento sociale anche a causa dell’aumento esponenziale della disoccupazione. Il risultato di questa insicurezza è una maggiore repressione interna e un’impronta più combattiva nella diplomazia del “drago rosso” deciso a far rispettare i suoi interessi nazionali.
Il crollo del prezzo del petrolio e la cattiva gestione della pandemia a livello internazionale hanno causato e causeranno nuovi blocchi con il risultato evidente di rendere ancora più fragile le economie nazionali e quindi stagnante il sistema politico. La domanda di carburante di tutti i Paesi è stata influenzata negativamente dall’epidemia di coronavirus e gli analisti hanno avvertito che potrebbe richiedere più tempo per riprendersi di quanto si possa sperare.
Le riserve di petrolio sufficienti nello stoccaggio sono fondamentali per la sicurezza energetica di un paese e il modo più rapido per accumularle è utilizzare le strutture di stoccaggio di un partner. Ad esempio, gli Stati Uniti sono emersi come un partner importante per l’energia, soprattutto dopo le sanzioni che Washington ha imposto all’Iran, costringendo l’India – uno dei maggiori clienti iraniani – a cercare petrolio altrove e trovarlo negli Stati Uniti.
Oggi abbiamo un’Europa che è intrappolata tra una Cina assertiva, una Russia revisionista, un’America irregolare. La deriva nell’alleanza transatlantica sta peggiorando, con gli Stati Uniti che cercano l’Europa per fare di più con meno voce in capitolo, nel frattempo l’Europa teme che diventerà il campo dello scontro sul quale si misureranno le grandi potenze.
La pandemia ha anche intensificato il disordine del Medio Oriente: la questione dell’Iran, continuano le guerre per procura in Yemen e Libia. La Siria rimane un sanguinoso campo di scontro e l’imminente annessione di Israele in Cisgiordania minaccia di seppellire una soluzione a due stati.
Mentre l’ondata della pandemia si abbatte sui paesi in via di sviluppo (PVS) con le sue società più fragili del mondo, diventeranno ancora più vulnerabili. L’America Latina ora sta affrontando il più grande declino economico nella storia della regione. L’Africa, con le sue città in crescita e con le forti insicurezze dovute dall’approvvigionamento di cibo, acqua e medicinali, dovranno affrontare rischi maggiori rispetto a qualsiasi altra parte del mondo, visto che le nazioni partners sono impegnate ad affrontare il coronavirus e quindi si sono disinteressate dei loro problemi.
Tutte queste sfide ed incertezze sono ulteriormente complicate dalla continua competizione ideologica ed economica.
Il ritmo del cambiamento ha superato le capacità dei leader attuali, troppo vacillanti, di capire i mutamenti e di modellare le regole. Le fake news si diffondono con la stessa alacrità della verità; le malattie infettive si muovono più velocemente delle cure. Le stesse tecnologie che hanno fatto compiere passi da gigante all’umanità, ora vengono utilizzate dai leader autoritari per bloccare i cittadini, sorvegliarli e reprimerli.
Con il trionfalismo della globalizzazione alle nostre spalle, le società stanno lottando per contrastare la disuguaglianza e le spinte economiche. La democrazia è in ritirata da oltre un decennio, il patto tra cittadini e governi è gravemente sfilacciato. Le istituzioni internazionali stanno iniziando a sgretolarsi, paralizzate da troppa burocrazia, da troppo pochi investimenti e da un’intensa rivalità tra grandi potenze.
Questo periodo richiede una leadership molto preparata in grado di aiutare a creare un senso di ordine: occorrono guide per aiutare a superare questo complicato pasticcio fatto di sfide, stabilizzazione della competizione geopolitica e garanzie per alcune modeste protezioni dei beni pubblici globali.
Il futuro post-pandemia del mondo non è preordinato è ancora tutto da scrivere e quindi possiamo ancora fare delle scelte fatali che saranno probabilmente più complicate rispetto a quelle passate.
Di fronte abbiamo tre ampi approcci strategici: ridimensionamento, restauro e reinvenzione. Ogni Paese aspira a soddisfare i propri interessi e proteggere i propri valori; dove differiscono è nella valutazione delle priorità e dell’influenza dei Paesi e delle minacce che affrontano singolarmente.
Ci sono anche domande strutturali più grandi. Anche se gli Stati Uniti accettassero il loro relativo declino e riducessero le loro ambizioni esterne, dov’è l’alleato emergente a cui l’America può passare il testimone, come fecero gli inglesi dopo la seconda guerra mondiale?
Non c’è il rischio che gli Stati Uniti diventino una potenza insulare in un mondo inospitale per le isole, con la Cina che domina gradualmente la massa terrestre eurasiatica, la Russia un paese stanco e l’Europa un’appendice isolata?
Oggi quello che manca in Europa ed in Italia è proprio una politica estera che dovrebbe sostenere il rinnovamento interno. La politica estera intelligente inizia a casa propria, con una forte democrazia e una forte economia: con posti di lavoro migliori e più numerosi, maggiore sicurezza, un ambiente migliore e una società più inclusiva, giusta e resiliente.
I pareggi di bilancio e la conseguente austerità imposti da Bruxelles hanno distrutto il benessere della classe media europea che è sempre stato il motore e guida della politica estera.
L’Europa è stata attesa da diverso tempo come locomotiva e forza propulsiva per il nuovo corso storico.
L’Italia dovrebbe farsi promotrice e spingere per una crescita economica più inclusiva, una crescita che riduce le lacune in termini di reddito e salute. Le nostre azioni politiche devono favorire tale obiettivo, ecco perché servono idee ed azioni innovative. È essenziale dare la priorità a queste esigenze e i leader europei devono svolgere un lavoro di gran lunga migliore garantendo che gli accordi commerciali e di investimento riflettano tali imperativi.
Ciò non significa però voltare le spalle al commercio o all’integrazione economica globale.
Le catene di approvvigionamento in alcuni settori con implicazioni per la sicurezza nazionale richiederanno diversificazione e ridondanza per renderle più robuste. Un migliore approccio economico potrebbe comportare elementi di politica industriale, concentrando un maggiore sostegno dei Governi su scienza, tecnologia, istruzione e ricerca. Ciò dovrebbe essere integrato dalla riforma del nostro sistema di immigrazione che si è rotto e si è basato solo sull’assistenzialismo-buonismo.
Non possiamo più permetterci di stare alla finestra ad attendere quello che succede ma bisogna prendere posizione e dare una mano concreta al partener principale che ci ha sempre difeso e che sono gli USA.
Finora l’Europa e l’Italia si sono solo messe un rossetto più modesto su una strategia essenzialmente attendista, o, in alternativa, hanno applicato la classica politica dell’asservimento.
Dobbiamo reinventare e rivedere quindi i nostri obiettivi, insieme agli USA e anche alla Russia, trovando un equilibrio tra le nostre ambizioni di diventare veramente un’entità politica vera e i nostri limiti.
La Cina, ovviamente, non è l’unica sfida geopolitica dell’America, ma è di gran lunga la più importante. Non possiamo ignorare altre regioni in cui gli USA hanno interessi permanenti: l’Europa rimane un partner cruciale.
Ed è per questo che non possiamo ignorare l’evidenza dei fatti e chi lo fa è in malafede o è stolto.