(AGENPARL) – Roma, 13 maggio 2020 – Nella scuola, si insegna, si sollecitano domande, si instillano i germi del dubbio, si spinge il pensiero verso il possibile. Ma gli attuali dibattiti nazionali sulla riapertura sono di una povertà argomentativa da rimanere basiti.
Fa sorridere che gli studenti possano auto educarsi ed apprendere attraverso una didattica attiva a distanza stando a casa a giorni alterni, alternando casa ed aula.
Oggi il Paese sta pagando amaramente l’abbandono della scuola ai margini delle agende pubbliche, con il risultato che figli o nipotini della modernità non hanno più bisogno dei libri perché grazie alla Tv e al web ormai possono avere tutta l’informazione che vogliono. E che informazione.
E questo perché così ha deciso qualche illuminata autorità ministeriale, assieme ad un altrettanta illuminata maggioranza parlamentare ed anche a qualche illuminato pedagogista.
La scuola ha sempre contribuito ad un compito politico decisivo: quello della costruzione dello Stato obbedendo alla direttiva di fare gli italiani, ovvero come diceva Francesco De Sanctis, fare di diversi popoli un popolo solo.
La scuola deve avere al centro l’Italia, un’ Italia grande e gloriosa che racconta chi siamo stati, ma anche una Italia affollata di operai, di bambini e di poveri dove per dirla con il libro Cuore, il piccolo Enrico (cittadino operoso ed onesto) è chiamato ad impegnarsi affinchè spariscano ogni giorno dalla sua Italia, la miseria, l’ignoranza e l’ingiustizia.
La scuola deve riprendere la direzione originaria che è quella dell’umanesimo, cioè la materia alla cittadinanza. E questa è una direzione di alta ispirazione in cui non ci deve essere alcun orientamento ideologico e politico. Una scuola ispirata contro il materialismo e il positivismo ed animata dall’idea che il compito essenziale della scuola è quella di formare la classe dirigente nazionale del Paese e questo lo si ottiene non riempendo le teste ma svegliando gli animi.
Il cuore dell’istruzione sono gli studi umanistici e non a caso nella Costituzione si parla sempre ed esclusivamente di istruzione e non si incontrano mai termini come educazione e formazione e mai si fa menzione di un qualsiasi scopo dell’istruzione che non sia quello ovvio e semplice trasmissione del sapere.
Perché alla fine a scuola si fa quella cosa noiosa che è studiare ed apprendere per essere classe dirigente di un Paese.
Oggi grazie ad un’amministrazione ottomana abbiamo ottenuto un’inevitabile stanchezza per l’inconsistenza delle chiacchiere e dei risultati ma soprattutto abbiamo permesso l’ingresso nella scuola della Politica ed è ciò che si è voluto, con il risultato tutti promossi. E dove chi insegna è percepito come un impiegato dello Stato, addetto ad un lavoro di scarso prestigio senza possibilità di fare carriera, poco qualificato e poco retribuito. Con l’atomizzazione dell’istruzione del Paese che ha prodotto solo disuguaglianza e colpito al cuore la cultura.
E l’ignoranza espressa dai parlamentari non è altro che la spia di una situazione generale che ha mille riscontri quotidiani.
A questo punto la domanda che sorge spontanea è: ma chi scrive questi roboanti tautologie che sono i programmi che costituiscono l’esperienza concreta che insegnanti e alunni sono chiamati ad eseguire. Programmi vacui mentre in compenso è chiarissimo l’orientamento ideologico del testo.
Vorrei ricordare alle illuminate autorità ministeriali che la scuola e le sue finalità sono contenute nell’articolo 3 della Costituzione.
Anche perché chi verifica i risultati delle mirabili decisioni innovative delle illuminate autorità ministeriali?
Oggi se la scuola riesce a sopravvivere è solo grazie alla buona volontà di un certo numero di insegnanti che poco o pochissimo possono fare di fronte alle forze avverse quali ad esempio ordinamenti sbagliati, adempimenti burocratici soffocanti, mancanza di mezzi, l’impreparazione e l’infingardaggine di molto loro colleghi e la politica dei sindacati.
Non sarà forse il caso di riscrivere programmi e mettere al centro del dibattito nazionale la scuola prima che come ha scritto Hannah Arendt «una crisi si trasforma in un disastro quando la si affronta con giudizi preconfezionati, cioè imbevuti di pregiudizi»
Servono le Idee e non l’ideologia.
Alla prossima puntata