(AGENPARL) – Roma, 05 gennaio 2020 – Con l’uccisione del numero due, Qassem Soleimani, l’Iran perde un uomo indispensabile.
Leader del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica si potrebbe affermare che rappresenti un capo di stato, perché era stato definito da Washington come un attore principale ed era considerato molto di più di un semplice generale visto l’autonomia che aveva in Iran, nel Medio Oriente e nel mondo musulmano.
Ovunque si intravedeva l’attività iraniana si intravvedeva Qasem Soleimani, sia essa in Siria, in Iraq, nello Yemen, quindi non è come eliminare un semplice generale al pari del successore dell’esercito americano, tipo il generale Richard D. Clarke, che guida le operazioni speciali degli Usa o persino il capo di stato maggiore della Russia, generale Valery Geramisov. Ma ovviamente Soleimani rappresentava molto di più, senza togliere nulla ai due alti ufficiali.
Nonostante le forti tensioni che hanno caratterizzato la guerra fredda nessuno ha pensato mai di uccidere Nikita Krusciov, o Fidel Castro o anche l’ayatollah. E la risposta va ricercata nella realpolitik di tutti gli Stati ed in particolar modo degli Stati Uniti d’America: se si uccide un Capo di Stato straniero è chiaro che la reazione sarà identica e contraria.
A questo punto la domanda che sorge spontanea è quella che se ora Trump ha superato questa linea, chi sarà il prossimo?
Chi oggi è disposto ad assassinare il presidente degli Stati Uniti?
Si potrebbe iniziare con il dittatore siriano Bashar al-Assad? Molti hanno sostenuto – repubblicani e democratici americani – che il presidente Barack Obama aveva ordinato un attacco su Damasco (sostenuto dai ribelli siriani quando sembravano che avessero una reale possibilità) con l’obiettivo di uccidere Assad. Tale uccisione avrebbe avuto come effetto la fine della guerra civile che ha causato mezzo milione di morti civili, creato due milioni di rifugiati e favorito l’ISIS e infine sarebbero cessati gli attacchi terroristici nelle città europee.
Vi sono prove chiare che Assad è un criminale di guerra che ha gasato le sue stesse donne e i suoi figli. Ma è chiaro che non lascerà mai il potere volontariamente. Ha respinto tutte le offerte di pace da negoziatori esterni e ha continuato a minacciare gli Stati Uniti. Non ha armi nucleari, né aviazione, né un vero potere militare, né amici fuori Mosca e Teheran. Potrebbero bombardarlo e sarebbe finita in un attimo.
Al secondo della ipotetica lista c’è Kim Jong-un, ma qui la questione è più complicata. Tanto per cominciare detiene delle armi nucleari. Non ha missili balistici intercontinentali che possono raggiungere e colpire gli Stati Uniti, né la capacità di miniaturizzare una bomba nucleare da mettere a bordo. Almeno, non ha dimostrato pubblicamente di avere tale capacità, anche se il Pentagono lo sta trattando come se avesse tale possibilità. Kim, più di Assad, è il capo di una nazione che ha per metà il culto della sua personalità e l’altra metà ha il timore di essere incarcerata. Probabilmente ci sarà supporto a Pyongyang per la sua partenza, se dovesse cadere dal cielo. Quando è salito al potere, la volontà dei massimi funzionari nordcoreani di risolvere le vicende interne con l’eliminazione degli avversari con omicidi a sangue freddo è molto incoraggiante per un eventuale attacco interno per eliminare Kim. Ricordiamo che Kim ha ucciso suo fratello ed ha ucciso suo zio.
È chiaro che gli Stati Uniti e la comunità internazionale vuole solo che il Paese nord coreano la smetta di minacciare di nuocere a tutti gli altri. Uccidere Kim risolverebbe molti problemi e con una giusta comunicazione, i nordcoreani avrebbero potuto essere persuasi che Kim li aveva condotti su una strada molto pericolosa.
E ancora perché non prestare attenzione anche a Xi Jinping, il nuovo Mao Tse-tung della Cina.
Negli ultimi anni, i leader comunisti cinesi hanno preso una strada particolare, infatti il Partito Comunista Cinese ha orchestrato uno sforzo mondiale per infiltrarsi nei sistemi economici, nelle strutture tecnologiche, nelle forniture agricole, creando allo stesso tempo capacità militari. Hanno costruito isole nell’oceano per espandere il loro territorio e influenza, con piste per i bombardieri strategici a lungo raggio e che consente quindi di trasportare armi nucleari. Le strade di Hong Kong oggi sono l’incarnazione vivente della follia cinese. I tentativi dei suoi leader di aggrapparsi alla loro dittatura dal pugno di ferro, mentre vivono in larga misura nella comunità globale delle democrazie liberali, stanno guidando il mondo verso il conflitto, non verso la cooperazione.
La Cina sta minando l’economia, la competitività e la capacità dell’America e quindi è chiaro che gli USA si difenderanno. Inoltre ha messo gli occhi su Europa, Canada, Africa ed altri ancora.
I bombardieri statunitensi possono raggiungere Xi velocemente come il drone che ha trovato ed ucciso Soleimani. È chiaro che la Cina ha armi nucleari e missili balistici intercontinentali (ICBM).
Ma i cinesi sono davvero disposti a rischiare di far fuori Donald Trump ed esporsi ad una rappresaglia totale delle testate americane?
Tirando le somme l’uccisione di Qassem Soleimani è l’inizio di una nuova era.
Trump ha ignorato una norma di leadership politica internazionale: gli Stati Uniti, in teoria, non assassinano i leader mondiali perché l’ordine internazionale dovrebbe avere importanza fondamentale perché lo stato di diritto è fondamentale. Ecco perché gli Stati Uniti chiedono al Congresso e alle istituzioni internazionali come le Nazioni Unite e la NATO di allineare il consenso e le approvazioni giuridiche e politiche prima degli attacchi militari.
Infatti, è solo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha il potere legale di far rispettare il diritto internazionale.
La guerra in Iraq, l’Afghanistan, la Libia – e persino la Siria e gli attacchi in luoghi lontani come la Somalia e il Niger – sono la testimonianza del certificato di approvazione da parte di altri.
Lo scontro è ora diventato politico all’interno degli Stati Uniti dove i democratici del Senato si stanno mobilitando attraverso una risoluzione che costringerebbe Trump a ritirare le truppe americane dalle ostilità contro l’Iran a meno che il Congresso non dichiari guerra o approvi una risoluzione che autorizza la forza militare.
Trump ha avvertito ieri che se l’Iran colpisse beni americani o americani, le forze statunitensi avrebbero immediatamente reagito.
La Costituzione americana parla chiaro: solo il Congresso può dichiarare guerra.
Lo scenario più probabile ora, tuttavia, è che i senatori dovranno aspettare fino a quando le tensioni dei partigiani sull’impeachment si placheranno un po’ e i legislatori avranno maggiori informazioni sulla minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata dall’Iran.
L’unica incognita è che ora però Trump con l’uccisione di Soleimani è diventato un bersaglio.E questo è un aspetto da non sottovalutare.