(AGENPARL) – Roma, 11 febbraio 2022 – Il World Economic Forum pubblica un articolo dal titolo «Come accelerare e rafforzare l’economia globale» secondo il quale «in un momento in cui l’economia globale deve far fronte a forti venti contrari, c’è un’opportunità per i leader non solo di accelerare la crescita nel breve termine, ma di gettare le basi di un’economia più resiliente e sostenibile per gli anni a venire».
Non è un segreto che ci troviamo in un contesto economico difficile. A gennaio, il Fondo monetario internazionale (FMI) ha pubblicato proiezioni che indicano che la crescita globale dovrebbe rallentare dal 5,9% dell’anno scorso al 4,4% nel 2022. Si tratta di mezzo punto percentuale in meno rispetto a quanto previsto ad ottobre, afferma il presidente del World Economic Forum Børge Brende.
Oltre a questa decelerazione, molti economisti ritengono che l’inflazione persistente cancellerà parzialmente i guadagni economici, con l’aspettativa di un aumento dei tassi di interesse che rallenterà gli investimenti. Inoltre, secondo l’FMI , il 60% dei paesi a basso reddito è in difficoltà o rischia di soffrire.
Queste sono senza dubbio grandi sfide, ma ci sono anche possibilità che ci attendono.
Se i leader non solo mettono in atto politiche per rivitalizzare le economie, ma affrontano anche priorità condivise a breve, medio e lungo termine, c’è la possibilità di alimentare la fiducia e costruire la resilienza, ingredienti chiave per la salute economica ora e in futuro.0 secondi di 1 minuto, 39 secondi Volume 90%.
Crescita inclusiva
Immediatamente, dobbiamo garantire che la crescita globale sia più inclusiva. Molte economie avanzate hanno previsioni promettenti, come la Cina, che ha visto le sue esportazioni aumentare di oltre $ 675 miliardi l’anno scorso, un aumento del 26% rispetto all’anno precedente. Ma resta il rischio che la ripresa richieda anni nella maggior parte delle economie emergenti e in via di sviluppo. Se non affrontata, questa divergenza favorirà non solo terribili conseguenze economiche globali, ma anche umanitarie.
Un modo per promuovere una ripresa più equa è impegnarsi a fornire investimenti sostenibili alle economie sottofinanziate.
Qui, per fortuna, gli FDI (Foreign Direct Investment) stanno finalmente mostrando segni di salute, poiché i flussi finanziari globali sono aumentati del 77% nel 2021, superando il livello pre-COVID-19. In effetti, la Cina ha registrato un investimento record di 179 miliardi di dollari nel paese, pari a un aumento del 20% anno su anno. Tuttavia, gli IDE globali sono ancora fragili, poiché fattori come le nuove varianti di COVID-19 e l’aumento dei prezzi dell’energia possono creare ostacoli ai flussi di capitale.
Trasformazione digitale
A medio termine, dobbiamo potenziare la trasformazione digitale, perché l’economia globale sta subendo un rapido progresso tecnologico ed espansione, che il World Economic Forum ha definito la Quarta Rivoluzione Industriale. I prossimi cinque-dieci anni richiederanno a ciascuna azienda di garantire che la tecnologia e l’innovazione facciano parte del proprio DNA. Infatti, si stima che circa il 70 % del nuovo valore in questo decennio sarà basato su modelli di business basati su applicazioni digitali. La recente carenza di semiconduttori e la conseguente attenzione negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in Cina sulla produzione di chip sono solo un’indicazione della rapida trasformazione digitale in atto.
La digitalizzazione dell’economia globale è il motivo per cui il quattordicesimo piano quinquennale cinese ha chiesto che le “industrie principali dell’economia digitale” rappresentino il 10% del PIL del paese entro il 2025, rispetto al 7,8% nel 2020.
Eppure, nonostante la crescente importanza del digitale, si stima che 2,9 miliardi di persone, oltre un terzo della popolazione mondiale, non abbiano mai utilizzato Internet. Questo è il motivo per cui l’anno scorso il World Economic Forum ha riunito le principali società tecnologiche e finanziarie, insieme ad enti governativi, per lanciare l’ EDISON Alliance , che sta lavorando per promuovere l’accesso digitale a prezzi accessibili per tutti entro il 2025.
Transizione verde
A lungo termine, dobbiamo impegnarci a diventare ecologici perché il cambiamento climatico è la sfida più importante della nostra vita.
Secondo alcune stime, l’economia globale potrebbe affrontare conseguenze senza precedenti, con una potenziale contrazione fino al 18% nei prossimi 30 anni , se gli sforzi di decarbonizzazione non verranno presi. Ciò non include la devastazione che il nostro pianeta dovrebbe affrontare in termini di perdita di biodiversità e perdita di vite umane.
Raggiungere zero emissioni climatiche nette entro il 2050 richiederà una trasformazione fondamentale della nostra economia, poiché le aziende e i paesi cambiano i loro mix energetici, aumenteranno l’efficienza e investiranno in nuove soluzioni a zero emissioni di carbonio. Ma una transizione verde può aggiungere milioni di posti di lavoro e trilioni di dollari all’economia globale. La First Movers Coalition , un gruppo di 30 aziende leader lanciata alla COP26 dal World Economic Forum e dall’inviato statunitense per il clima John Kerry, sta contribuendo a realizzare un’economia verde aumentando i segnali della domanda di nuove tecnologie a basse emissioni di carbonio.
Tutte le nostre priorità – un’economia globale più equa, digitale e verde – si basano su una maggiore cooperazione globale perché sono troppo grandi, troppo complesse e troppo interconnesse per essere affrontate da un’azienda o un paese da sole. Questo è il motivo per cui dobbiamo allontanarci da una mentalità a somma zero, in cui gli attori globali credono che la prosperità possa arrivare solo a spese degli altri. Come ha affermato il presidente cinese Xi Jinping all’Agenda di Davos del World Economic Forum a gennaio: “La strada giusta per l’umanità è lo sviluppo pacifico e la cooperazione vantaggiosa per tutti”.
Fin qui la linea guida del WEf su cosa i leader dovranno fare per accelerare e rafforzare l’economica globale.
Aldilà del principio «volemose tutti bene» di Xi Jinoing, con la crescita dell’inflazione pone domande significative alle banche centrali, i redditi dei consumatori colpiti dall’aumento dei prezzi dell’energia e con Omicron che continua a interrompere l’offerta di beni e manodopera, molti esperti prevedono che l’attuale percorso di ripresa post-pandemia rafforzerà le disparità tra e all’interno delle nazioni.
L’aumento dell’inflazione comprimerà anche i bilanci pubblici e se il governo deciderà di inasprire la politica fiscale, lasciando la politica monetaria in secondo ordine rispetto al ciclo dell’inflazione, sarà una sequenza di criteri molto sbagliati per risolvere i problemi e le tensioni sociali che si avranno.
Le pressioni sul costo della vita stanno colpendo più duramente le famiglie a reddito più basso, poiché spendono una parte maggiore del loro reddito in cibo e carburante, e quelle famiglie sono fortemente concentrate in alcune delle aree economicamente più svantaggiate del paese. Altro aspetto è che ci saranno migliaia di persone che rimarranno economicamente inattive, per non parlare del calo dei salari reali che avranno un impatto negativo sulle finanze del settore delle famiglie.
Pertanto una combinazione di aumento dei prezzi, contrazione dei salari reali, questione del credito universale contribuiranno a un massiccio aumento dell’indigenza e all’aumento delle disuguaglianze regionali.
In poche parole i redditi delle famiglie saranno dolorosamente compressi da una combinazione dovuta all’aumento dei tassi di interesse e politica fiscale più restrittiva.
A questo punto che bisogna fare?
Occorre una Politica economica innanzitutto dinamica anzichè statica.
Mi spiego meglio.
Affrontare una ripresa post-Covid mantenendo immutati i rapporti che caratterizzano la struttura produttiva e distributiva attuale che tende solo a massimizzare i profitti dei gestori dell’attuale apparato produttivo e ad assicurare occupazione alla parte qualificata dei lavoratori, è francamente impensabile perchè l’incremento dei profitti viene perseguito attraverso lo sviluppo degli scambi, specialmente con l’Estero. Ora le esportazioni di prodotti e di forze lavoro combinata con un mantenimento degli investimenti, costituisce una linea che se da una parte esalta gli scambi, dall’altra deprime i consumi di massa.
Quindi?
E’ chiaro che bisogna agire sull’aumento del potere di acquisto e dei consumi delle famiglie, è palese che serve una politica fiscale redistributiva in grado di mantenere i livelli occupazionali, sarebbe doveroso ottimizzare gli investimenti senza gettarli dalla finestra (anche perchè le risorse che arriveranno dovranno essere restituite) ed infine sarebbe opportuno valorizzare al massimo le industrie pesanti, specialmente quelle a partecipazione statale.
Il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire ha affermato nel 2020 che l’Europa ha bisogno di una «chiamata alle armi» per difendere l’economia.
Parlare oggi di chiamata alle armi da parte dei francesi suona come una beffa. La risposta sta solo nel numero delle fabbriche comprate dagli stranieri, nei settori produttivi dai quali siamo stati virtualmente espulsi «spintaneamente» dall’Europa, dal numero delle aziende che i suddetti hanno acquistato dallo Stato (Gs, Telecom, Ilva, Alitalia, ecc) per lo più a prezzo di saldo e che sotto la loro «illuminata» guida hanno condotto al disastro. Naturalmente senza mai rimetterci un soldo di tasca propria.
Eppure avevamo uno strumento formidabile per il nostro sistema economico: l’IRI.
Ricordiamoci che L’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) nacque nel 1933 ed è stato posto in liquidazione nell’assemblea straordinaria del 27 giugno 2000.
Gli storici, in occasione della liquidazione dell’IRI hanno messo in evidenza la funzione fondamentale dell’Ente, vero e proprio motore economico, secondo l’insegnamento di Francesco Saverio Nitti, ripreso poi da Alberto Beneduce.
Oggi l’IRI lascia un vuoto incolmabile, anche alla luce della grave crisi economica, perchè le imprese italiane non sembrano in grado di attrarre il risparmio nazionale il quale emigra per poi tornare a comprarsi le aziende italiane.
Un sistema economico italiano troppo ingessato, dove c’è il rischio dello spostamento degli investimenti esteri come ad esempio nel campo del 5G che dall’Italia potrebbero essere dirottati dai grandi gestori di telefonia in altri Paesi extra Ue.
Scriveva Massimo Pini «l’Iri è stato l’illustre vittima della globalizzazione dei mercati e della realizzazione dell’Unione europea: si decise allora che il sistema misto italiano non avrebbe potuto sopravvivere».
Nel 2020 scrissi un articolo dal titolo «CORONAVIRUS, PASSATA L’EPIDEMIA L’ITALIA DEVE RIPARTIRE NAZIONALIZZANDO LE AZIENDE IN CRISI E RICOSTITUENDO L’IRI» suggerendo che dopo l’epidemia Coronavirus per far ripartire l’Italia bisogna nazionalizzare le aziende in crisi presenti ai tavoli del MISE, sbloccare i bandi e quindi dare commesse e lavoro alle aziende, ma soprattutto dobbiamo tornare allo Stato imprenditore con la ricostituzione dell’IRI.
Tutto chiaro?
Base Terra chiama Politica. Pronto, Politica, mi sentite?