[lid] – Come è noto ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione sui diritti umani, le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sono vincolanti per gli Stati interessati.
In particolare, il Comitato dei Ministri sovrintende all’esecuzione delle sentenze sulla base delle informazioni fornite dalle autorità nazionali interessate, dai ricorrenti, dalle ONG, dalle istituzioni nazionali per i diritti umani (NHRI) e da altre parti interessate.
Il Consiglio Consultivo dei Procuratori Europei (CCPE) sottolinea l’importanza di fare riferimento alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU) e alla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (la Corte).
Il CCPE ha esaminato, in particolare, il giusto equilibrio tra i diritti fondamentali relativi alla libertà di espressione e di informazione garantiti all’Articolo 10 della CEDU ed il diritto-dovere dei media ad informare il pubblico in merito ai procedimenti giudiziari ed i diritti legati alla presunzione di innocenza, ad un giusto processo ed al rispetto della vita privata e familiare, garantito dagli articoli 6 ed 8 della CEDU.
Da notare che con la recente sentenza n. 25056 del 9 novembre 2020, la Corte di Cassazione ha riaffermato la piena operatività nel nostro ordinamento della regola di matrice statunitense nota come “Business Judgment rule”, la quale sancisce il principio di insindacabilità nel merito delle scelte di gestione assunte dagli amministratori nell’espletamento del loro incarico. Eppure questa regola ancora non viene applicata in Italia.
L’Italia nel 2022 ancora è alla ricerca degli standard di efficienza di un sistema penale che va europeizzato ravvicinando le normative nazionali al primato del diritto UE.
Cosa si sta aspettando?