USA, BIDEN UNO STATISTA E TRUMP UN ELEFANTE IN UN NEGOZIO DI PORCELLANA. MA SARA’ VERO?
(AGENPARL) – Roma, 03 novembre 2020 – Sono bravi, fottutamente bravi.
La campagna di immagine di Joe Biden ha lavorato instancabilmente ed incessantemente nell’ultimo anno per incanalare (creare) l’immagine di Joe Biden come di una ‘persona seria’, soprattutto per quanto attiene la politica estera.
Biden, secondo questa operazione di maquillage, è un anziano statista dai capelli bianchi, che infonde saggezza ed equilibrio e che coglie le complessità della politica internazionale.
Al contrario Donald Trump, viene presentato con il suo ciuffo biondo, un vero e proprio elefante incapace di ricoprire il ruolo di Presidente degli Stati Uniti d’America e che starebbe meglio in un negozio di porcellana, per non parlare del suo linguaggio ‘fuoco e fiamme’ coni suoi tweet spesso incandescenti che riscaldano le persone.
Solo Biden, ci viene detto dai media americani e non solo, può riportare la stabilità in tutto il mondo.
Ma ci dobbiamo credere veramente?
C’è una frase di Milena Gabanelli che è una vera e propria equazione: «oggi si spaccia per informazione la propaganda, e il resto è in balia dei pusher».
Torniamo a Biden.
Penso proprio che non bisogna credere ad una sola parole di quello che viene detto o meglio propagandato dai media e che è diventato mainstream.
Questa immagine ‘accuratamente’ curata dell’acume strategico e della lungimiranza geopolitica di Joe Biden è in contrasto con le opinioni dichiarate dell’ex vicepresidente e con i precedenti politici.
Le sue dichiarazioni su una varietà di paesi suggeriscono che si basano meno su una visione strategica degli affari mondiali che su giudizi improvvisi.
Prendiamo ad esempio la Corea. Al terzo dibattito presidenziale del 22 ottobre, Trump ha pubblicizzato i vantaggi di avere “buoni rapporti” con leader stranieri come Kim Jong Un della Corea del Nord.
Biden ha risposto invocando Hitler: «Avevamo un buon rapporto con Hitler prima che, di fatto, invadesse l’Europa».
Ma dai.
Il motivo per cui non ha incontrato il presidente Obama è perché il presidente Obama ha detto: «Parleremo di denuclearizzazione. Non ti legittimeremo e continueremo a farti applicare sanzioni sempre più forti. Ecco perché non ha voluto incontrarci».
Va da sé che paragonare Kim Jong Un ad Adolf Hitler non è solo estremamente provocatorio, ma non contribuisce nemmeno alla nostra comprensione politica di entrambe le figure.
La seconda parte della dichiarazione di Biden è ancora più pericolosa se non dannosa.
Infatti, gli esperti della Corea del Nord stanno giustamente avvertendo che un’insistenza generale sulla denuclearizzazione come condizione preliminare per i colloqui di pace è inutile e controproducente.
Biden ha esteso una posizione altrettanto insolente nei confronti degli amici d’America.
In un recente evento del municipio di Filadelfia, Biden ha quasi consegnato due partner statunitensi chiave in un nuovo Asse del Male, basta vedere cosa è successo dalla Bielorussia alla Polonia all’Ungheria, e l’ascesa dei regimi totalitari nel mondo, e anche questo presidente abbraccia tutti i teppisti del mondo.
E’ necessario sottolineare che Ungheria e Polonia- che hanno avuto entrambe elezioni legittime e competitive negli ultimi anni – non sono solo membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, ma sono tra i due maggiori contributori militari all’accordo di sicurezza collettiva della NATO.
I commenti di Biden sono ancora più stonati alla luce dei dati che mostrano che la Polonia e l’Ungheria si collocano costantemente tra gli stati membri dell’UE più filoamericani.
Questo attacco inaspettato ha già suscitato forti rimproveri da parte del governo di Budapest, danneggiando inutilmente le relazioni tra un alleato della NATO e il potenziale Presidente eletto prima che iniziassero.
Né Biden se la cava meglio su questioni di grande strategia.
In un evento politico a Iowa City, l’ex vicepresidente ha respinto il consenso bipartisan secondo cui Pechino rappresenta potenziali minacce economiche e alla sicurezza per gli Stati Uniti.
«La Cina mangerà il nostro pranzo? Andiamo, amico … Voglio dire, sai, non sono cattive persone, gente. Ma indovina un po’? Non sono concorrenza con noi», ha detto.
Il ragionamento di Biden? La società cinese è troppo divisa, e il Partito Comunista Cinese (PCC) troppo corrotto, per lanciare una sfida credibile agli Stati Uniti: «Non riescono nemmeno a capire come affrontare il fatto che hanno questa grande divisione tra la Cina Il mare e le montagne a est, intendo l’ovest … non riescono a capire come faranno a gestire la corruzione che esiste all’interno del sistema».
In effetti, gravi divisioni etniche e corruzione dilagante non hanno impedito alla Cina di espandere in modo aggressivo la sua influenza geoeconomica in tutti i continenti.
Dal sostenere Nicolás Maduro, avversato dal Venezuela, con mercenari e miliardi di dollari, fino a ridurre sistematicamente la portata economica e politica di Washington in Africa, il PCC sta attivamente sfidando gli interessi degli Stati Uniti in tutto il mondo.
Questo non vuol dire che queste sfide siano ingestibili con strategie nuove e lungimiranti, ma negare la loro esistenza serve solo ad aggravare la loro crescente minaccia.
Non sorprende che i commenti di Biden abbiano attirato l’ira di politici di un cast così vario come Mitt Romney e Bernie Sanders.
Con le elezioni presidenziali del 2020 che si profilano all’orizzonte, Biden ha abbandonato la sua posizione per una serie completamente nuova di punti di discussione.
Nell’estate del 2019, Biden sosteneva che Trump è quello che è cieco alla minaccia cinese: «Mentre Trump sta attaccando i nostri amici, la Cina sta premendo il suo vantaggio in tutto il mondo … scommetti che sono preoccupato per la Cina, se continuiamo a seguire il percorso di Trump».
Ha etichettato la Cina come un “concorrente” in un municipio della CNN del 18 settembre nel 2020, e di nuovo durante un’intervista di 60 minuti la scorsa settimana.
Non è chiaro cosa abbia spinto il cambiamento di opinione di Biden, a parte forse l’ottica elettorale di essere visto come tenero nei confronti della Cina in un momento in cui milioni di musulmani uiguri cinesi vengono etnicamente purificati in centinaia di campi di internamento sparsi nel nord-ovest della Cina.
La brusca trasformazione di Biden prima delle elezioni in un falco cinese è stato difficilmente accompagnato da soluzioni concrete per la gestione della concorrenza sino-americana.
Invece, continua a reclamizzare le vecchie ed inette politiche bipartitiche cinesi di Washington: sanzioni mirate per violazioni dei diritti umani, azioni multilaterali per arginare le “pratiche commerciali illegali e sleali” della Cina e un’applicazione più robusta delle leggi sulla proprietà intellettuale.
Queste prescrizioni generiche si basano sull’articolo di fede neoliberista vecchio di decenni secondo cui un più stretto impegno con le istituzioni internazionali porterà inevitabilmente la Cina nell’ovile delle nazioni liberal-democratiche.
Ma una Cina in ascesa rimane una preoccupazione secondaria per il candidato democratico, il cui argomento di politica estera per la campagna elettorale rimane la minaccia russa.
A partire dal sostegno dell’amministrazione Obama al cambio di regime in Ucraina durante la rivoluzione Maidan del 2014, Biden si è distinto come uno dei principali sostenitori di un approccio bellicoso verso la Russia.
La presunzione di Biden deriva da una visione tipica, ma purtroppo popolare, delle vere motivazioni del presidente russo Vladimir Putin: «La Guerra Fredda era basata su un conflitto di due nozioni ideologiche profondamente diverse su come il mondo avrebbe dovuto funzionare. Si tratta fondamentalmente di una cleptocrazia che protegge se stessa … Penso che ci sia una decisione fondamentale che non possono competere con un Occidente unificato. Penso che sia il giudizio di Putin ha detto Biden durante un’apparizione del Council on Foreign Relations del 2018.
Secondo Biden, Putin, un cleptocrate autoritario che teme di perdere la sua presa ferrea sulla Russia, è in missione per dividere e distruggere la NATO e l’UE perché sa di non poter competere contro un Occidente unito. Quindi, conclude Biden, la spinta della politica russa di Washington dovrebbe essere quella di “imporre costi significativi” a Mosca per il suo vasto e sempre crescente elenco di trasgressioni contro il mondo libero.
Com’era prevedibile, questi “costi significativi” sono più o meno gli stessi: sanzioni mirate, stazionamento di truppe NATO sempre più vicine ai confini della Russia, raggruppamento della NATO in un fronte unito contro l’assalto globale della Russia alla democrazia e pressioni per l’adesione alla NATO degli stati post-sovietici come la Georgia e l’Ucraina.
Come si vede è una visione miope e scellerata quella di Biden che vede solo il pericolo russo e non quello cinese…
Sebbene certamente punitivi nei loro effetti, non è chiaro quali obiettivi strategici concreti intendono raggiungere queste politiche.
Dopo sei anni di crescenti sanzioni e misure internazionali volte ad isolare geopoliticamente Mosca, la Russia non è più vicina al cambio di regime filo-occidentale; semmai, il dolore economico delle sanzioni ha solo alimentato il sentimento anti-occidentale e ulteriormente consolidato le masse russe dietro il governo di Putin. Né le misure punitive dell’amministrazione Obama-Biden hanno indotto cambiamenti significativi nel comportamento del Cremlino, in parte perché le sanzioni disposte contro la Russia sono così rigide ed esaustive che il Cremlino ha da tempo abbandonato ogni speranza che possano mai essere revocate.
E Trump dovrebbe revocare le sanzioni ed includere la Russia nella Nato.
Se non altro, le recenti dichiarazioni di politica estera di Biden sono alla pari del corso della sua carriera politica lunga quattro decenni, una che è stata a lungo caratterizzata da tentativi intermittenti di cogliere vantaggi politici a breve termine riscrivendo la sua storia politica.
Dall’inizio delle elezioni del 2020, ad esempio, Biden si è costantemente ritratto come un dichiarato oppositore della guerra in Iraq.
«Dal momento in cui è iniziato Shock and Awe», ha detto Biden in un dibattito presidenziale democratico nel 2019, «da quel momento, mi sono opposto allo sforzo».
Ma, come hanno notato numerosi fact-checker, Biden non era affatto contrario allo “sforzo”. Infatti, ha ripetutamente appoggiato l’invasione dell’Iraq dal 2003 al 2004, rimproverando anche alcuni democratici scettici per non essere stati sufficientemente favorevoli allo sforzo bellico. Il voltafaccia di Biden è arrivato solo nel 2005, in coincidenza con la sua intenzione appena rivelata di esplorare una corsa presidenziale. A quel punto, l’opposizione alla guerra in Iraq non era più un’opinione politicamente corretta e particolarmente nuova da mantenere.
La storia di Biden dipinge a malapena il ritratto di uno statista sofisticato o di un pensatore “serio” di politica estera.
Quello che emerge invece è il ritratto familiare di un vecchio sostenitore del partito che dirà qualsiasi cosa, firmando qualsiasi posizione, per cogliere un vantaggio in quel momento.
Ciò che tanti commentatori e giornalisti hanno gentilmente liquidato come le sue innumerevoli ” gaffe ” è in realtà un riflesso di una visione del mondo stanca e obsoleta. Se non opportunista da punto di vista personale.
In sintesi, le recenti dichiarazioni di politica estera di Biden del corso della sua carriera politica lunga 40 anni, sono solo la prova provata dei tentativi ad intermittenza di cogliere vantaggi politici a breve termine per poi mutare posizione a seconda del vento politico.