(AGENPARL) – Roma, 20 agosto 2022 – Oggi l’Italia si sta giocando più un secolo e mezzo di storia.
L’Italia non sta precipitando nell’abisso, sta semplicemente perdendo e lentamente si sta disfacendo.
Il Coronavirus (COVID-19) ha rappresentato un deciso stop al processo di solidarietà dell’UE.
Difatti, ancora oggi, gli Stati membri stanno affrontando la pandemia ognuno a modo suo.
L’Italia, la più colpita dalla pandemia, l’11 marzo del 2020 si era lamentata della lentezza degli aiuti dell’UE, dopo che gli stati membri in primis Francia e Germania hanno limitato le esportazioni di equipaggiamento medico protettivo al nostro Paese.
Oggi, qualsiasi speranza che l’esperienza vissuta con il COVID-19 possa innescare l’integrazione dei sistemi sanitari europei sembra ancora debole di un Unione europea a trazione franco-tedesca.
Tale situazione è dovuta in gran parte ad alcune elitè italiane di cultura storica e politica debolissima, succubi delle ‘mode’ che si sono succedute nel tempo e che hanno creato un vuoto culturale e sociale enorme. E questo lo abbiamo pagato con l’emergenza Coronavirus.
Una situazione che sta facendo crescere ogni giorno quel sentire venato di angoscia e nutrito dall’impotenza che ormai si sente respirare un po’ dappertutto in Europa e soprattutto in Italia.
Si tratta dell’incapacità di prendere delle decisioni per il bene comune e quindi di tutelare gli interessi nazionali del Paese.
È la mancanza di quei provvedimenti chiari in grado di far fronte ai complessi problemi che la crisi sta facendo emergere con drammatica attualità che vanno dal costo dei carburanti, all’inflazione, dai venti di recessione che stanno arrivando a quelli della mancanza di riforme necessarie per far ripartire il Paese. Non c’è programmazione e questo lo abbiamo visto durante la pandemia con i continui decreti legge che disorientavano e alimentavano il sentimento di incertezza (e di decadenza).
In altre parole, quelli di una vera e propria crisi di civiltà (cultura).
Non possiamo continuare con la solita Italietta, quella dello ‘sviluppo’ sbilanciato, dei ritardi cronici, delle lentezze burocratiche, dei falsi successi, della crisi economica decennale, della mancanza di riforme, della ricerca di nuove maggioranze, del divario tra nascite e decessi.
L’Italietta della produzione industriale che torna a calare dopo cinque anni, quella della continua diminuzione della popolazione dove al 1° gennaio 2020 i residenti ammontano a 60 milioni 317mila (116mila in meno su base annua).
L’Italietta dell’aumento del divario tra nascite e decessi (per 100 persone decedute arrivano soltanto 67 bambini), quando dieci anni fa erano 96 e si registra un ulteriore rialzo dell’età media (45,7 anni al 1° gennaio 2020).
L’Italietta della mancanza totale di progetti di riforme, le uniche in grado di far tornare competitivo questo Paese.
E’ l’Italietta degli avvocati del popolo, dei pifferai magici e dei maghetti in perenne attesa di non si sa cosa.
E’ l’Italietta descritta da Dante «ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!».
Vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e scrivere diventa un obbligo. Scrivere oggi è un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre per il bene del Paese.
Dobbiamo riscoprire il piacere della correttezza, dell’onestà, della gentilezza e del rispetto. Bisogna far tornare di moda le persone serie e perbene.
La politica deve tornare ad essere passione e coraggio.
E come dicono gli inglesi the different is not between left and right but right and wrong.