(AGENPARL) – Roma, 28 febbraio 2022 – Oggi, mentre il presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, è alle prese con i cambiamenti geopolitici e la crisi pandemica, cresce all’estero l’impressione che sia iniziata una nuova era in Occidente in cui l’America non è più primus inter pares, ma una superpotenza in fase di declino terminale (relegata) ed avviata verso un’uscita dall’egemonia che è ormai fin troppo evidente.
In effetti, con la polarizzazione, la correttezza politica, il divieto di libri e storie alternative che acquistano una nuova virulenza all’interno degli USA, la convinzione che gli stessi Stati Uniti possano precipitare in una guerra civile è diventata sempre più prevalente. Tutti elementi che sono espressamente indicati nel Progetto 1619, dove l’America non può nemmeno essere d’accordo sui fatti più elementari della sua fondazione. Tutti fattori che indicano che i miti sulla rivoluzione americana stanno scemando, come del resto il tanto decantato modello americano appare ormai malconcio se non ammaccato sia in patria che all’estero.
Insomma, un ciclo di trent’anni si è interrotto bruscamente.
Un ciclo che era iniziato con una serie di eventi che avevano proclamato il trionfo del sistema liberal-democratico guidato dagli Stati Uniti: la caduta del muro di Berlino, la vittoria quasi pacifica della coalizione guidata dagli Stati Uniti nella Guerra del Golfo e l’abbassamento del stendardo della falce e martello sul Grande Palazzo del Cremlino per l’ultima volta il 25 dicembre 1991.
In poche parole, tutti elementi che significano il capolinea di questa epoca post-Guerra Fredda e l’inizio di una nuova epoca.
Chiuso questa pagina si è aperto un altro capitolo: quello del rapporto fatto di tensioni tra Cina e Stati Uniti.
Un rapporto basato sull’ottimismo inebriante dell’Occidente secondo cui l’introduzione del capitalismo in Cina avrebbe inevitabilmente portato a riforme politiche.
Una previsione che si è dimostrata nei fatti deludente e diametralmente opposta, poiché la leadership di Pechino ha represso internamente e affermato ampie rivendicazioni sul Mar Cinese Meridionale, allarmando i suoi immediati vicini.
Il presidente Donald Trump ha oscillato tra la denuncia della Cina per pratiche commerciali sleali e l’elogio del suo leader, il presidente Xi Jinping, in un tweet per la sua gestione della pandemia come «forte, acuto e fortemente concentrato nel guidare il contrattacco contro il Coronavirus».
Lo stesso successore alla Casa Bianca, Joe Biden, non ha revocato molte delle tariffe che Trump aveva inizialmente imposto alla Cina.
Ma mentre la Cina può considerarsi un avversario degli USA, non è chiaro se una competizione con Pechino debba rappresentare l’inizio di una seconda guerra fredda.
Non solo. Ora la pressione americana su Russia e Cina sta spingendo i due a collaborare molto più strettamente che in passato.
Infatti, entrambe le potenze conducono regolarmente esercitazioni militari congiunte. La Cina è il partner commerciale numero uno della Russia e i due tendono a sostenersi a vicenda negli sforzi di politica estera.
oggi, gran parte della fragilità americana nei confronti della Cina deriva proprio dalle sue stesse debolezze interne, visto l’atteggiamento che molti a Washington hanno prima creduto e poi successivamente ceduto alla tentazione di attribuire le debolezze dell’America alla perfidia cinese piuttosto che affrontarle e correggerle.
Ma oggi cosa è cambiato rispetto a ieri?
E’ palese che la crisi ucraina significa praticamente «la fine del sistema del secondo dopoguerra».
Non sarà sfuggito agli attenti osservatori che ormai ci stiamo incamminando verso un mondo molto più violento.
La domanda a questo punto è se l’Homo homini lupus sarà una triste realtà nell’immediato futuro.
E’ altrettanto palese che l’attuale situazione di fragilità dell’Occidente potrebbe spingere la Cina ad impadronirsi di Taiwan.
Il grande pericolo in questo momento è che Xi Jinping ha visto quanto è debole l’Occidente e potrebbe decidere che è giunto il momento di impadronirsi di Taiwan.
E mentre siamo ‘impegnati’ a preoccuparci per l’Ucraina, questo è il momento giusto per la Cina per riprendersi quella che considera la sua 19a provincia.
E cioè la fine del sistema del secondo dopoguerra che aveva mantenuto con successo la pace in tutto il mondo per circa settantasette anni.
Ultima considerazione prima di chiudere.
Il miliardario democratico, George Soros, ha affermato che gli Stati Uniti e le altre nazioni transatlantiche devono «fare tutto ciò che è in loro potere» per sostenere l’Ucraina contro la Russia nel conflitto in corso all’estero.
Dopo che la Russia ha invaso per la prima volta l’Ucraina il 24 febbraio, Soros afferma che gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero avere il maggior coinvolgimento possibile nel conflitto anche se gli americani si oppongono in modo schiacciante al coinvolgimento degli Stati Uniti.
«Ho assistito alla trasformazione dell’Ucraina da una parte al collasso dell’Unione Sovietica a una democrazia liberale e una società aperta», ha scritto Soros in una serie di dichiarazioni online su Twitter.
«È importante che sia l’alleanza transatlantica (Stati Uniti, Canada, Unione Europea e Regno Unito) ma anche altre nazioni facciano tutto ciò che è in loro potere per sostenere l’Ucraina nel suo momento di minaccia esistenziale», ha continuato.
La sollecitazione di un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti in Ucraina da parte di Soros arriva quando il presidente Joe Biden ha annunciato che 7mila militari statunitensi in Germania.
Il numero totale delle truppe americane schierate per aiutare nel conflitto Ucraina-Russia è ora di circa 12.000.
Un sondaggio dell’Associated Press-NORC pubblicato la scorsa settimana ha rivelato che il 72% degli americani non vuole che gli Stati Uniti svolgano un “ruolo importante” nel conflitto. Invece, preferiscono che gli Stati Uniti svolgano un “ruolo minore” o “nessun ruolo”.
Il grande Seneca scriveva «Cui prodest?»
Stay tuned….