(AGENPARL) – Roma, 18 febbraio 2020 – Il mondo sta cambiando e deve affrontare nuove sfide globali molto urgenti.
Incombe la crisi economica, la questione dell’immigrazione and last but non least la profonda sfiducia nelle istituzioni a livello internazionale che stanno ridisegnando nuovi equilibri.
E’ indubbiamente un periodo rivoluzionario dove è in atto una scomposizione degli assetti internazionali.
E’ chiaro che la crisi economica e l’immigrazione stanno mettendo in seria difficoltà il sistema internazionale che non riesce più a fronteggiare questa situazione. E a questo va aggiunta la profonda sfiducia nelle istituzioni. C’è chi vuole una maggiore cooperazione tra i vari Paesi e chi vuole tornare alla sovranità nazionale.
Gli Stati Uniti di Donald Trump con lo slogan “The America first” è l’artefice di questa scomposizione in quanto sta distruggendo l’ordine economico finanziario globale con le sue tariffe, con la questione della sicurezza nazionale, imponendo sanzioni e piegando tutti coloro che si oppongono o che resistono agli interessi nazionali.
E i risultati gli stanno dando pienamente ragione perché l’amministrazione Trump sta portando alla creazione di nuovi posti di lavoro che hanno fatto aumentare i salari degli americani. Ad esempio, il mese di gennaio ha segnato il ventitreesimo mese consecutivo in cui il tasso di disoccupazione era pari o inferiore al 4 per cento, cioè il periodo più lungo degli ultimi cinquanta anni. Il tasso di disoccupazione in America rimane ben al di sotto della proiezione pre-elettorale finale del Congressional Budget Office del 5,0 per cento e 1,1 punti in meno rispetto al suo livello da quando il presidente Trump è stato eletto a novembre 2016.
L’uscita del Regno Unito con tanto di feste spontanee per la Brexit che si sono svolte in alcuni pub e club sociali, nonché in Parliament Square a Londra, mentre nel paese era iniziato il conto alla rovescia per la fuoriuscita, e dove migliaia e migliaia di persone si sono radunate in Parliament Square per celebrare questo evento, cantando canzoni patriottiche e discorsi incoraggianti dei principali Brexiteer, sono la dimostrazione del periodo rivoluzionario in atto.
A questo va aggiunto la dichiarazione del segretario di stato americano Mike Pompeo che ha sottolineato di essere «contento» che il Regno Unito e l’UE abbiano concordato un accordo sulla Brexit e che gli Stati Uniti continueranno a costruire le sue «relazioni forti, produttive e prospere con il Regno Unito».
L’ambasciatore di Washington nel Regno Unito, Woody Johnson, ha affermato che la Brexit è stata «a lungo sostenuta» dal presidente Donald Trump.
Più eloquente sono state le parole del PM inglese, Boris Johnson, che aveva dichiarato alla Nazione il giorno della Brexit che «stasera stiamo lasciando l’Unione Europea. Per molte persone questo è un momento sorprendente di speranza, un momento che pensavano non sarebbe mai arrivato. E ci sono molti, naturalmente, che provano un senso di ansia e perdita. E poi ovviamente c’è un terzo gruppo – forse il più grande – che aveva iniziato a preoccuparsi che l’intera lotta politica non sarebbe mai finita. Comprendo tutti questi sentimenti e il nostro lavoro come governo – il mio lavoro – è di riunire questo paese ora e portarci avanti. E la cosa più importante da dire stasera è che questa non è una fine ma un inizio. Questo è il momento in cui sorge l’alba e si alza il sipario su un nuovo atto nel nostro grande dramma nazionale. E sì, si tratta in parte dell’utilizzo di questi nuovi poteri – questa sovranità riconquistata – per realizzare i cambiamenti per cui la gente ha votato. Sia che si tratti di controllare l’immigrazione o di creare porti liberi o di liberare la nostra industria della pesca o di concludere accordi di libero scambio. O semplicemente rendere le nostre leggi e regole a beneficio della gente di questo paese. E ovviamente penso che sia la cosa giusta, salutare e democratica da fare. Perché per tutti i suoi punti di forza e per tutte le sue qualità ammirevoli, l’UE si è evoluta per oltre 50 anni in una direzione che non si adatta più a questo paese. E questo è un giudizio che voi, il popolo, avete ora confermato alle urne».
Di fronti a questi cambiamenti epocali, fa sorridere, il Presidente della grande Francia, Emmanuel Macron, che con una giacca a vento con i colori della bandiera francese sulla balconata che sovrasta il Mer de Glace , ghiacciaio che scende dal versante nord del Monte Bianco, parla dei cambiamenti climatici. Ovviamente stendo un velo pietoso sul fatto che non sono state invitate nè una delegazione svizzera nè quella italiana a tale storico evento.
E’ interessante l’intervista apparsa sul Corriere della Sera di George Soros. «Credo che stiamo vivendo un momento rivoluzionario. Di conseguenza, in pratica tutto è possibile e la fallibilità regna sovrana», scrive Soros nell’introduzione del suo nuovo libro, «Democrazia! Elogio della società aperta», pubblicato da Einaudi. Si proprio George Soros, l’uomo della speculazione della lira e della sterlina avvenuta nel 1992.
E il futuro dell’Unione europea non sembra brillare perché manca una visione comune e soprattutto manca il contatto delle elitè con la realtà.
Sarà molto difficile che – al di là del regno economico e normativo – l’Ue riesca ad affrontare questa sfida perché non ha una visione comune del suo ruolo e che di fatto sta alimentando il sovranismo. Ma è soprattutto improbabile che acquisisca tale capacità in questo momento proprio perchè le visioni dei singoli Paesi sono eterogenee e fortemente contrastanti fra loro.
In sostanza, la fiducia negli esperti, nei leader politici e nelle istituzioni internazionali continuerà a crollare e paradossalmente quando di continuo si parla di globalizzazione.
D’altronde, quella di Mitterand, di Kohl e di Andreotti era un’altra epoca. Ora c’è il rischio che i sogni dei padri diventino gli incubi dei figli.
E l’Italia non è l’Italia del super debito pubblico anni ’90 che era un Paese “leader dell’Unione Europea”. Lo scrissero le agenzie di rating, quelle che oggi ci danno per finiti. Era l’Italia dell’inflazione altissima degli anni ’80, ma era la prima nazione al mondo per risparmio delle famiglie, cioè meglio del Giappone. Era l’Italia della Lira che non fu mai, mai e poi mai più spendacciona di Francia o Belgio, nemmeno della media europea.